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  • 3 min lettura

    Insieme ad acqua, riso e koji (麴) il lievito è fra gli ingredienti più importanti per la produzione del sake.

    Una volta che il riso è stato cotto e ha ricevuto le spore di koji per la saccarificazione, infatti, si procede alla creazione dello shubo (酒母), un composto formato da acqua, riso koji, riso sbollentato e lieviti.

    Il lievito è un microorganismo e viene utilizzato per la produzione di sake, vino, birra, salsa di soia, miso e pane.

    Come successo per il koji, il riso e l’acqua utilizzati per la produzione del sake, nel corso della storia i lieviti sono stati studiati e selezionati. Questo perché, a seconda del risultato desiderato, si utilizzano specie differenti di lievito.

    Per la produzione del sake, il lievito scelto è il Saccharomyces cerevisiae, che ha la capacità di fermentare a basse temperature, raggiungere concentrazioni alcoliche superiori ai 20° vol. e produrre composti aromatici molto profumati.

    La storia

    Inizialmente, i lieviti utilizzati nella produzione del sake erano solamente i lieviti che si sviluppavano in modo naturale all’interno delle varie sakagura.

    Dopo che il sake venne presentato al mondo per la prima volta, durante l’Esposizione Internazionale di Vienna del 1873, questa bevanda iniziò ad avere sempre più successo e, di conseguenza, una crescente importanza economica nella società giapponese. Per questo motivo, nel 1900 venne introdotta una tassazione sul sake e nacque l’esigenza di standardizzarne la produzione per tutelare il gettito fiscale.

    Nel 1904 venne fondato l’Istituto di Ricerca per la Fermentazione, che prelevava e analizzava i lieviti sviluppatisi in modo naturale nelle varie sakagura di tutto il Giappone, selezionava quelli migliori e li redistribuiva alle cantine associate. Questi lieviti prendono il nome di Kyokai Kobo (協会酵母), dove “kyokai” significa appunto “associazione”, “organizzazione”, e sono stati negli anni numerati e catalogati.

    I lieviti più utilizzati attualmente sono i kyokai #6, #7, #9, #10 e #14. Ognuno di essi produce aroma e gusti caratteristici e la scelta di uno o dell’altro dipende dalle qualità che si desidera ritrovare nel sake che si sta producendo.

    Tra questi, il Kyokai No.7 (K7), lievito di riferimento per la produzione di sake ginjo, isolato nel 1946 da una sakagura nella prefettura di Nagano e conosciuto localmente con il nome “Nanago”, è stato usato largamente per molti anni ed è stato anche utilizzato come modello di lievito per sake in numerosi studi genetici e biochimici.

    Non è raro, comunque, trovare anche cantine che, al posto di utilizzare lieviti industriali, utilizzano lieviti naturali propri selezionati nel luogo di produzione del sake.

    Come agiscono i lieviti?

    Così come il koji ha il compito di trasformare gli amidi in zuccheri, i lieviti hanno il compito di nutrirsi di questi zuccheri e di far partire la fermentazione all’interno dello shubo, in una prima fase, e proseguirla nel moromi, poi, andando a produrre alcool e anidride carbonica.

    Nello shubo, che possiamo anche definire la madre del sake o lo starter della fermentazione, fondamentale è andare a creare un ambiente che prevenga la contaminazione da parte di lieviti selvaggi o batteri, che potrebbero intaccare i lieviti da coltura inseriti.  In questo senso, entra in campo l’acido lattico che, nel caso del metodo tradizionale Kimoto, si propaga in modo naturale, mentre nel caso del moderno metodo Sokujo i batteri di acido lattico vengono inseriti manualmente, accelerando così i tempi.

    lieviti_moromi

    Dopo il completamento dello shubo, processo che può richiedere da 1-2 settimane fino a 3-4 settimane in base al metodo utilizzato, quest’ultimo viene trasferito in grandi taniche dove vengono aggiunti kakemai (riso sbollentato), kojimai (riso koji) e acqua, andando a creare una mistura che prende il nome di moromi(醪). L’aggiunta di questi ingredienti avviene in tre step in un lasso di tempo di circa 4 giorni, ecco perché questo processo prende il nome sandan jikomi (三段仕込み), dove “sandan” significa per l’appunto “3 step”, “3 fasi”. Lo scopo di questo processo in 3 fasi, perfezionato nel periodo Edo (1603-1868), è quello di evitare che l’aggiunta degli ingredienti in un’unica volta diluisca troppo l’ambiente acido necessario alla fermentazione e che altri microorganismi si riproducano e vadano a intaccare i lieviti.

    Dal quinto giorno la fermentazione prosegue per altre due-quattro settimane e si parla di Fermentazione Multipla Parallela perché la saccarificazione e la fermentazione alcolica proseguono contemporaneamente. Questo spiega anche perché il sake abbia una gradazione alcolica maggiore di altre bevande fermentate.